ARTE/PERSONAGGI. Cavie nel laboratorio NYC

Da non perdere in questi giorni GUINEA PIG la prima personale a New York City dell’artista italiano Stefano Cagol, in mostra fino al 17 maggio 2008 presso la Priska C. Juschka Fine Art Gallery di Chelsea (547 West 27th st New York).

In inglese Guinea Pig sta per cavia ma anche, ironicamente, per porcellino d’india. L’artista Cagol crea una divertente quanto amara metafora sulla condizione attuale dell’uomo, ignara vittima di un laboratorio di cui è inconsciamente artefice. E’ un circolo vizioso: la costante insoddisfazione sociale porta a una smania di sentire sempre più intensamente odori e sapori e, attraverso l’uso smoderato di additivi chimici o esaltatori di colore, il gusto naturale delle cose è completamente sostituito.

“Sono partito dall’idea degli additivi di cibo e giocattoli che in America sono spinti all’estremo con casi che stanno coinvolgendo la Mattel, la Kellogg’s… In Italia abbiamo i riverberi di questo in maniera meno esasperata, anche se gli additivi e i vari esaltatori sono dappertutto…”

Il piacere di giocare e mangiare rischia di essere totalmente snaturato e può pure mettere a repentaglio la nostra salute. Attenzione quindi ai famosi dolcetti avvelenati dell’artista, un cabaret di topini al cioccolato forse al cianuro, doppio gioco di attrazione e pericolo, o alla lotteria (direi molto chic), dove centinaia di pins rosa, rosse o bianche in scatole roteanti di plexiglas davano il proprio inaspettato responso. Cercare esasperatamente il gioco o il cibo perfetto nel vortice odierno di falsi bisogni può ritorcerci contro. Ahimè.

Stefano Cagol è nato nel 1969 a Trento ed è cresciuto in Svizzera. Attualmente vive e lavora in Italia. Ha studiato all’Accademia di Brera a Milano e alla Ryerson University di Toronto con un post-doctoral fellowship di video arte. Dopo aver visto la sua mostra, abbiamo posto alcune domande all’artista.

Quale è l’origine dei tuoi lavori? C’è un punto di partenza?

«Li incontro durante il mio percorso! Sono l’oggi! E di conseguenza sono concatenati indissolubilmente!»

Quanto il contesto influenza la tua scelta?

«Siamo tutti ‘fortemente’ influenzati dal contesto. L’ambiente in cui siamo immersi ci cambia e modifica. Questa è l’idea che caratterizza anche il progetto di NYC: viviamo in un laboratorio esteso».

Dici di far propaganda, puoi approfondire questo punto?

«L’arte è comunicazione. Proprio per questo è uno dei veicoli prediletti della propaganda politica, religiosa… da quando essa esiste. Ma quando dichiaro che l’arte è propaganda, che “deve” essere propaganda, non l’intendo come veicolo di messaggi di una o dell’altra corrente, ma come strumento di per sé consapevole per esprimere ed indurre un sentire sociale nuovo, per capire quello che stiamo vivendo e anticiparlo. La sua forza è grande, autonoma»..

Quale relazione cerchi di instaurare con il pubblico?

«È una relazione critica, dove l’immagine, l’aspetto estetico e il messaggio diano spunti di pensiero. Penso che sia dovere degli artisti andare verso il pubblico… Infatti mi occupo molto della cosiddetta arte pubblica, che esce dai musei e si “impone” tra la gente. Un esempio: il prossimo settembre produrrò un intervento sulla torre della televisione di Praga. Sono stato invitato dal Festival Tina B di Praga e questo progetto è realizzato in occasione del quarantennale della Primavera di Praga. Il titolo sarà “Un-secret signals” e sulla città verranno trasmesse intermittenze luminose e sonore che in codice morse diffonderanno frasi come “Art is Freedom”».

L’aspetto ludico è presente in gran parte dei tuoi lavori, come definiresti la tua opera?

«Sociale. L’ironia poi permette di sorridere anche delle cose più tragiche. È un riso amaro quello che scaturisce dalle opere, come nel progetto “Bird Flu” sull’influenza aviaria e quindi su tutte le nostre influenze fisiche e mentali».

Sei nato a Trento e cresciuto in Svizzera, come quest’ultima ha influenzato il tuo modo di percepire e relazionarti con l’esterno rispetto la terra natale?

«Mi ha dato sicuramente una certa libertà! Ti senti cittadino del mondo. Allo stesso tempo però ho vissuto in Svizzera il periodo della giovinezza e quindi ho anche provato la lotta per difendere le proprie radici, l’appartenenza, l’origine. Sono momenti di grande “forza” che, soprattutto quando si è ragazzini, assumono toni di grande coinvolgimento. Credo tra le altre cose si conquisti una consapevolezza più chiara della propria identità».

GUINEA PIG e GUINEA RIP: critica e avvertimento. Puoi spiegarci come è nato questo lavoro? E quale il tuo rapporto con la città di New York che rappresenti come un grande cimitero.

«GUINEA PIG, porcellino d’India, cavia da laboratorio, rappresenta una perfetta metafora dell’uomo contemporaneo. Cavia inconsapevole del proprio stesso agire. L’uomo infatti sta portando avanti ogni tipo possibile di sperimentazione su se stesso e sull’ambiente in cui vive, modificandolo irrimediabilmente. Un animaletto divertente vero? E New York City è indubbiamente la metropoli e capitale dell’arte per eccellenza. La frequento da dieci anni, amandola e cercando di cogliere i suoi mille aspetti e la sua forza unica, è il “centro” dell’impero!

Proprio per questo nel mio video la stessa Manhattan, quest’isola così “speciale”, diventa simbolo unico e metafora perfetta del nostro mondo di luci e di ombre, di integrità e distruzione… Rest in peace!»

Hai qualche eroe fantastico o reale?

«Goldrake, forse rimane ancora il mio eroe. Qualche giorno fa ho incontrato Cattelan ad una opening… forse non è Actarus, ma è un buon esempio da seguire!»

Esprimi un desiderio.

«Due che forse sono uno: proseguire al meglio il mio percorso e non fare troppi sbagli».

Una tua paura.

«Di riposare in pace!!! »

Un segreto.

«Sono un Guinea Pig».