Il Dumbo ritrovato a New York

Atti di vandalismo e storie d’amore. Dumbo unisce questa dicotomia e ne fa un libro, il suo libro. Quello di una vita passata tra fughe notturne e amore per la strada.

Conoscevo il nome DUMBO da quando studiavo a Milano, giornalmente ci scontravo contro. Era dappertutto. Muri, marciapiedi, portoni, inferriate. Non potevi sfuggire. Ti chiedevi chi era. Chi cavolo volesse imbrattare tutta la città con il proprio nome. Un delirio di onnipresenza, pensavo. Era affascinante seguirne le tracce. Ora finalmente, a New York, mi spiega:

“La mia ossessione, lo so. Prima il mio nome scritto ovunque, poi il personaggio.

Io io io. Portare avanti la propria identità e sottoscrivere tutto con la propria firma, questo è ciò che mi ha sempre interessato. Un ego grande che mi porta sempre a mettermi nel centro nel bene e nel male”.

Dumbo è uno dei graffitti writer più conosciuti in Italia. I suoi pezzi su treni e metropolitane e i suoi innumerevoli Tags sono qualcosa che ci appartiene. Fanno parte di quella sottocultura di strada, di quel movimento che vive nelle viscere delle città di tutto il mondo. Un fenomeno di cui si ha sempre avuto una percezione distorta a causa della sua natura illegale, un fenomeno che è sempre stato screditato e invalidato dal sistema, prima ancora di cercare una maniera per capirlo.

Lo scorso mercoledì al THE WRECK CENTRE in Soho (75 Sullivan, NY) c’è stata la presentazione del libro di Dumbo e finalmente ho conosciuto l’artista dietro questo nome, Ivano Atzori. Dumbo-Acts of Vandalism and Stories of Love è una raccolta di immagini, notti, momenti, amici.

“I legami umani che una passione ti porta a creare sono fortissimi. Ti vedi piombare di colpo nella tua vita delle persone senza in realtà conoscerle oltre ai confini di ciò che condividete. E’ difficile accorgersi degli anni che passano e delle relazioni che si cementano mentre sei in continuo movimento, lo so. Ed è per questo che è bellissimo sedersi ad un certo punto, guardarsi attorno e realizzare che alcune di quelle persone sono state e sono una delle cose più importanti della mia vita.”

Lo spazio devastato di tags del Wreck Centre cominciava a scaldarsi quando ho visto un bambino. “E’ mio figlio” dice Ivano Atzori a fianco della moglie Kyre Cheven. Il nostro caro Dumbo ha lasciato la strada Milanese per quella di New York .

Ed è da quella di New York che iniziava tutto.

La NYC degli anni Settatanta è senza dubbio la città che ha partorito il writing e lo ha fatto evolvere sino a quello che è ora. All’inizio degli anni Settanta dopo Taki 183 il movimento dilaga e, oltre al proprio nome, i writer cercano di farsi riconoscere creando uno stile particolare per dipingere le proprie lettere. I nomi di giovani, emersi prevalentemente dai ghetti di Manhattan, Bronx e Brooklyn, iniziano a comparire con una frequenza allarmante.

E come diceva SPOON in un’intervista per il volume Writing from the Underground:

“Si tratta di sopravvivenza del più forte. Sicuro che non ce la puoi fare se fai finta.

Puoi vestirti come il ghetto, parlare come il ghetto, ma se non conosci com’è la lotta, in un modo o nell’altro finirà per risucchiarti. E’ dura e perversa, devi avere la determinazione di tener viva la tua anima e uscirne. Ho una relazione di amore/odio con il ghetto. Non avrei imparato la mia arte senza di esso”

E quando chiedo ad Ivano perché si fosse avvicinato al writing e quale fosse stata l’influenza degli Stati Uniti e le conseguenti differenze con l’Italia lui mi dice:

“I ragazzi della mia età in Italia non avevano molto di nuovo con cui divertirsi se non le solite cose tipo giocare a pallone, truccare i motorini, o toccare il sedere delle ragazzine.

Il nostro paese è stato letteralmente investito dagli anni 60 in poi da tutto quello che era a stelle e strisce e quindi non era poi difficile rimanere colpito da tutta quella freschezza, musica, sottoculture, cinema.

Mi colpirono da subito le immagini di New York, le immagini dei quartieri più poveri, pensavo avessero più carattere, pensavo raccontassero di più.

Non so perchè ma tutto ciò che è scuro, sporco in alcuni casi, pericoloso mi ha sempre attratto.

Per quel che mi ricordo le cose che mi fecero avvicinare ai graffiti furono delle copertine di dischi, una nello specifico, quella dei Ramones dove ritraeva delle carrozze della metropolitana completamente devastate da scritte, che bello!

Mi chiedi quali differenze corrono tra Europa e Stati Uniti come artista o come essere umano?In entrambi i casi le liste potrebbero essere lunghe e diverse, mi limiterò a dirti che New York è proprio quella che vedevo nei film, il problema adesso è fino a quando sarò disposto a recitare?”

Negli anni Settanta chi scriveva sui muri non recitava. Essendo già degli emarginati nella loro società, i writer finivano poi per corrispondere ancora più fedelmente a questa etichetta, adottando una bomboletta per sviluppare una cosa che sembrava giusta e piuttosto innocua se paragonata a ciò che li circondava. Il Bronx finì per avere il ruolo della “Mecca dell’Aerosol”, i suoi writer si facevano conoscere per stili inconfondibili, unici. Le linee 2, 4 e 5 della metropolitana che attraversavano Manhattan, Brooklyn e il Bronx mettevano in scena la storia, erano il palcoscenico su cui esibire il proprio stile. Nella sfida del writing le armi sono pennarelli e bombolette. L’unicità dello stile è di massima importanza. La firma di un writer è l’unico metodo per rappresentare la propria esistenza. Portare questo aspetto all’estremo è motivo di orgoglio e stima. Ed è questo quello che Dumbo ha fatto per anni a Milano. Ed è questo quello che rimane impregnato nel suo libro. Farsi conoscere. Lasciare un segno indelebile della propria presenza. E un amore viscerale per la strada.

“Vandali. Ci hanno sempre chiamato così. A ragione spesso. Non c’è niente da fare, ci piace così, una sensazione adrenalinica di un’intensità difficile da spiegare. Il gusto della trasgressione fa parte di tutti noi, il metterlo in pratica è una scelta di pochi.”

E ora l’interesse da parte del mondo dell’arte e dell’establishment per i cosidetti “artisti dei graffitti” sta sterilizzando quell’odore acre di bombolette e adrenalina. C’è chi rinuncia alla strada per appendere i propri pezzi in galleria. E c’è chi della strada non può farne a meno. Ecco come è continuata la conversazione con DUMBO.

Pensi che il writing abbia perso di autenticità? Cosa provi quando vedi un tuo pezzo in galleria?

“Cosa è autentico e cosa non lo è? Lascerei rispondere gli altri questa domanda , io posso anticiparti che non ho mai pensato che portare un graffito in galleria o su supporti come tela potesse risultare interessante. Io da questa lunga esperienza ho cercato di trattenere alcune delle sue caratteristiche importanti come l’ossessione, la voglia di provocare, il porre domande, conquistare l’attenzione degli altri”.

Come vivi la strada di NY? E quella di Milano?

“In entrambi le città riesco sempre a ricavare qualcosa di interessante. Vivere la strada è necessario come artista, la strada è uno schermo che proietta immagini in continuazione, io le osservo e cerca di farmi un’opinione su tutto ciò che vedo. Certo a NY accadono molte più cose per strada questo perchè è una città più giovane e dinamica rispetto alla lenta e stanca Milano. Amo starmene a guardare la gente che passeggia, che entra ed esce dai vagoni della metropolitana, i ragazzi in fila in attesa di entrare nei locali, insomma la strada è una fonte di idee infinita”.

Perché DUMBO? Come vivi la relazione con questo nome?

“Dumbo perchè è leggibile, facile da ricordare, è un termine internazionale e poi perchè è un bel film, credo che questo basti ad una persona che voglia avere un pubblico in breve tempo…non credi? Questo nome mi riporta a pensare al passato e a quante belle e brutte esperienze sono legate a dumbo scritto sui muri della mia città. Mi piace pensare che molti continueranno a chiedersi chi fosse Dumbo”.

Quali i tuoi progetti futuri.

“Progetti futuri… continuare a far parlare di me, in qualche altra forma. A giugno inaugurerò una mostra importante alla galleria Patricia Armocida e Andrea Lissoni sarà il curatore”.