Una donna sprecata

Mentre ascendevo al cielo c’era la folla di spasimanti che si accalcava a mo’ di scala umana, tanti uomini, uno sopra l’altro, cercavano di raggiungermi. Tutti a me, tutti a me, dalla mia altezza ghignavo, una folla a piramide con un gran torcicollo pur di tendere verso l’adorata.

Erano lì giù che si davano un gran daffare pur di raggiungermi, lì che si aggrappavano l’uno all’altro, e gli ultimi nella cima sbandieravano le mani come tante lingue di drago pur di sfiorarmi una chiappa. Io ero lì, sopra tutti, una specie di Madonna altezzosa, avida, e se vuoi un po’ sadica che su quella folla ci buttava il pacchettino di patatine appena rosicchiate: seta d’angelo unta da patine industriali. Tenete, vi concedo pure le mie scartoffie, plebei. Accontentatevi. L’ascensione al cielo con tanti uomini che mi spasimavano era stata sempre il mio sogno supremo…”

Inizia così, con un sogno da femme fatale, La ragazza definitiva (Castelvecchi), primo romanzo di Gisy Scerman, una bellissima ragazza veneta, a giudicare dalla foto di copertina, di 28 anni che racconta probabilmente (la biografia è identica) la sua vita. Mi piacerebbe non fosse la sua, tanto è squallida, insensata e vuota – altro che femme fatale – benché scritta bene e punteggiata di tanto in tanto